La
storia della danza
si occupa dello sviluppo - nei secoli e nelle varie parti del mondo -
di questa particolare forma di espressione artistica che si serve del
movimento del corpo sulla base di un ritmo interno, che può essere (o
meno) suggerito o ispirato da fonti musicali.
La disciplina storiografica riguardante la danza tuttavia è di origini relativamente recenti. Infatti solo nel
XX secolo
sono iniziati gli studi più specificamente dedicati a questa arte,
grazie alla diversa considerazione che essa è andata acquistando
rispetto al passato: non più "sorella minore" della
musica,
ma espressione umana autonoma e con una propria dignità di arte. Di
conseguenza sono comparse le prime pubblicazioni a carattere
storiografico, sia per quanto riguarda il campo di ricerca in ambito
antropologico, sia per quello intorno agli usi e costumi sociali nei
secoli e nelle varie parti del mondo, sia per quello che concerne la
danza come arte dello spettacolo.La danza è la prima espressione artistica del genere umano perché ha
come mezzo di espressione il corpo. Tutte le altre arti infatti
prevedono l'uso di oggetti che fungono da strumenti, ad eccezione del
canto che, come la danza, si avvale di uno strumento corporeo.
La danza è parte integrante dei rituali, è forma di preghiera, è momento
di aggregazione della collettività nelle feste popolari e occasione di
aggregazione tra le persone in generale. Nel corso dei secoli è sempre
stata lo specchio della società, del pensiero e dei comportamenti umani.
Inoltre la danza è l’unica arte che si avvale insieme del tempo e dello
spazio. Perciò la storia della danza è una disciplina vastissima e
riguarda le espressioni etniche e popolari (
etnocoreologia),
i balli di società (storia della danza sociale) e infine la danza come
arte dello spettacolo, che fino al XX secolo riguardava esclusivamente
il
teatro e più recentemente anche il
cinema e la
televisione.Le righe che seguono riguardano esclusivamente la danza come arte dello spettacolo nella civiltà occidentale.
Antica Grecia
La danza accompagna la storia della civiltà umana a partire
dall'epoca preistorica fino al consolidamento delle prime civiltà
stanziali acquistando un ruolo rilevante soprattutto in
Grecia. Qui si svilupparono numerose tipologie di danze, classificate dagli storici in tre categorie:
- Danze guerriere, il Prosodion, l'Enoplion, le Gimnopedie (tipiche della città di Sparta), la Pirrica.
- Danze religiose, il Ghéranos, la Cariatìdes, la danza delle Hiérodules.
- Danze profane, l'Emmeléia, la Bibasis, l'Apokinos.
Si può dire che fin dalle origini del teatro la danza ne è stata
parte integrante costituendo uno dei suoi principali livelli espressivi e
l'elemento principale dei rituali religiosi. Nella Grecia antica le
rappresentazioni teatrali erano momenti importanti di aggregazione della
collettività che venivano organizzati dalle autorità politiche in
occasione delle feste dedicate alle varie divinità. Nella
tragedia l’azione era portata avanti dagli attori e dal
coro,
che si esprimeva cantando e danzando; la parola κόρος, infatti, deriva
dal verbo κορέυο, danzare, e dallo stesso verbo derivano alcuni termini
ancora oggi utilizzati - come
coreografia,
coreografo,
coreutico. Così è per la parola "
orchestra",
che nell'italiano moderno designa un insieme di strumenti musicali,
mentre nell'antica Grecia indicava il luogo del teatro dove agiva il
coro e derivava da ορκέομαι, un altro verbo che significava "danzare",
perché l'azione del coro era formata dal canto e dalla danza. La
tragedia e la commedia si esprimevano a mezzo della μουσικῄ, termine che
indicava l'insieme inscindibile di poesia, musica e danza, tre arti
considerate di pari importanza che interagivano continuamente. La danza
tipica della commedia era la
Cordax, caratterizzata dalla lascività e dalla vivacità. Nel dramma satiresco invece si usava danzare la
Sikinnis.
Medioevo
Durante il Medioevo la danza, che in un primo periodo era praticata
anche all'interno degli edifici religiosi come parte dei rituali e
accompagnamento dei canti, subì la condanna della autorità
ecclesiastiche che vedevano nella sua pratica il pericolo della
lascività dei costumi, data l'ostentazione del corpo in movimento e il
tipo di comunicazione prettamente visiva che si andava contrapponendo a
quella orale-uditiva dei predicatori. Tuttavia anche durante questo
lungo periodo si hanno numerose forme di intrattenimento spettacolare
con danze e/o mascherate danzate. Il professionista dello spettacolo
medievale è il
giullare,
che spesso intratteneva il pubblico con balli solistici oppure, in
occasione delle feste, guidava le danze collettive dei villaggi o delle
città.
Tra le danze popolari quella che viene menzionata più spesso è sicuramente la
carola,
danza a catena chiusa (le persone si tenevano per mano e danzavano in
cerchio), eseguita soprattutto nelle feste di primavera intorno a un
albero o a un personaggio che incitava i ballerini battendo mani e piedi
a ritmo. La carola è citata più volte da
Boccaccio nel
Decamerone e anche da
Dante nella
Divina Commedia. La
farandola
è invece una danza a catena aperta, nella quale le persone si tenevano
ugualmente per mano ma aprivano il cerchio iniziale per dar luogo a
nuove evoluzioni e disegni. Altre danze sono la
tresca, la
ridda e il
ballonchio.
Verso la fine del secolo XIV in tutta Europa si diffuse la
danza macabra, praticata nei pressi dei cimiteri tanto dal popolo che dai nobili.
Rinascimento
Danza di corte in Inghilterra 1580
Durante il Rinascimento nelle corti italiane si sviluppò una forma
ricercata di ballo che prevedeva norme da seguire e un certo studio di
passi e movimenti. La danza infatti era ritenuta una vera e propria
forma di educazione. La danza dei nobili era di diretta derivazione da
quella del popolo, ma veniva trasformata secondo le regole del perfetto
cortigiano: la compostezza, l’atteggiamento nobile, le convenzioni
sociali della cavalleria e della galanteria. Nel Quattrocento la figura
del maestro di ballo era molto richiesta per istruire i signori e i
cortigiani; tra questi,
Domenico da Piacenza (detto "Domenichino") e il suo discepolo
Guglielmo Ebreo da Pesaro
saranno i primi autori di veri e propri trattati di quella che già
veniva chiamata l' "Arte del Ballo". Domenichino scrisse il manuale
De arte saltandi et choreas ducendi e Guglielmo, autore del
De pratica seu arte tripudii vulgare opusculum, acquistò una rinomanza tale da essere chiamato alla corte di
Urbino da
Federico da Montefeltro. A loro contemporaneo è
Antonio Cornazano, che scrisse il
Libro dell'arte del danzare.
Nel secolo successivo saranno
Fabrizio Caroso da Sermoneta con
Il Ballarino e
Cesare Negri con
Le Gratie d'amore i principali autori di trattati sull' "arte di ben condurre le danze". Anche in
Francia
non mancava chi si incaricò di raccogliere e descrivere le principali
danze in voga ai suoi tempi: è Jean Taburot, canonico di Lengres, autore
del trattato
l'Orchésographie, da lui pubblicato nel
1589 firmandosi con lo pseudonimo di
Thoinot Arbeau, che altro non è che l'anagramma del suo nome.
Nel
1581 presso la corte di Francia nacque il primo balletto della storia, il
Ballet Comique de la Reine
composto di brani recitati, danzati e cantati. La parola “comique” sta
ad indicare che l’argomento apparteneva al genere della Commedia.
Il Seicento
Ma è solo nella seconda metà del XVII secolo che la danza sale sui
palcoscenici teatrali. Sempre in Francia, essa ricevette una forte
spinta da Luigi XIV, che amava molto danzare ed esibirsi in prima
persona negli spettacoli di corte, tanto che fu chiamato "Re Sole" per
essersi esibito come "Sole nascente" nel
Ballet Royal du Jour et de la Nuit del
1653, su musica di
Giovanni Battista Lulli. Egli nel
1661
promosse la nascita dell’Acàdemie Royale de Danse in seno all’Acàdemie
de Musique, istituzioni preposte alla definizione delle regole inerenti a
queste arti. Le convenzioni sociali e le regole formali erano
essenziali alla corte del Re Sole, questo spiega il gran lavoro di
codificazione delle Accademie. Con la costituzione dell’Accademia
francese prese avvio la danza classica, detta anche accademica perché la
sua caratteristica è quella di dipendere da norme codificate. Per
questo motivo la terminologia del balletto classico è universalmente in
lingua francese.
Per quanto riguarda gli spettacoli teatrali le forme in voga erano la
tragédie-ballet, la
comédie-ballet, l’
opéra-ballet,
tutte forme dove poesia, danza e musica erano parte integrante dello
spettacolo ma in compartimenti separati: il momento della recitazione,
quello del canto e quello delle danze non interagivano mai tra loro.
Il Settecento
Per il secolo XVIII ormai si deve fare una netta distinzione tra
danza di corte e danza di teatro. Quest'ultima infatti si era
trasformata nello stile per obbedire alle esigenze del tipo di visione
imposta dalla struttura dello spazio scenico: a differenza degli
spettacoli organizzati negli ambienti di corte, dove il pubblico si
posizionava intorno allo spazio delle danze, ora il palcoscenico era
posto di fronte agli spettatori e tutto ciò che vi stava sopra doveva
seguire delle linee prospettiche, altrimenti la visione non sarebbe
stata buona. Le scenografie usavano linee diagonali e così doveva essere
per gli atteggiamenti de ballerini, che vennero spinti ad assumere le
posizioni dette in
épaulement (con una rotazione del busto in
linea diagonale). Le danze si volsero sempre di più a una cura eccessiva
della forma, a scapito dell'espressione. La cura principale era
indirizzata all’eleganza delle linee e a creare passi sempre più
complessi per stupire il pubblico. Nacque così una forma di "divismo" da
palcoscenico analoga a quella dei cantanti lirici coevi e la danza
scadette nella pura esibizione del virtuosismo tecnico, divenendo
un’arte quasi circense, molto artificiosa.Ma il Settecento è chiamato “il secolo delle riforme”, perché in ogni
campo si sentiva l’esigenza di uscire dai canoni pre-costituiti,
codificati e artificiali e di riferirsi maggiormente alla natura
dell’uomo. Il pensiero illuministico spingeva verso la natura,
l’abbandono dell’artificio, la ricerca degli aspetti più genuini, il
ritorno dell’umanità alla sua essenza, non condizionata dalla civiltà.
Perciò l’
Illuminismo spingeva anche alle riforme in ogni campo. Per la danza, nella seconda metà del Settecento
Jean-Georges Noverre in Francia e
Gasparo Angiolini in Italia si adoperarono per la riforma degli spettacoli coreutici contemporaneamente al tedesco
Christoph Willibald Gluck
che operò per la riforma del Melodramma. Per il desiderio di rifarsi
alla natura, Noverre esortava a liberare il corpo della ballerina dalle
vesti pesanti e ingombranti e dalle maschere e dalle parrucche che
nascondevano le forme naturali, ma in realtà nei movimenti delle danze
il risultato fu quello di un maggiore sviluppo della
pantomima e non tanto la riunificazione delle tre arti della
musica,
del teatro e della danza: l’espressione dei sentimenti era intesa come
un’imitare la natura, quindi si cercava il modo di riprodurre le
emozioni naturali per farle sembrare vere, ma alla fine si realizzava un
nuovo artificio.In realtà a quel tempo la concezione dell’arte era prettamente
naturalistica: pittori e scultori erano considerati "bravi" se sapevano
imitare la natura al meglio e in musica anche i compositori si
ingegnavano nell’imitazione dei suoni naturali. Però nei primi anni del
sedcolo XIX un coreografo napoletano in qualche modo operò per la
riunificazione delle tre arti:
Salvatore Viganò con il suo "Coreodramma" o dramma danzato. Inoltre un altro napoletano,
Carlo Blasis,
adeguava le forme virtuosistiche della danza classica ai nuovi
parametri di espressività e di adesione alla natura propri
dell’Illuminismo. Blasis scrisse vari libri sulla tecnica della danza
classica, nei quali esortava anche a tenere in considerazione le arti
“sorelle” - la pittura e la scultura - per realizzare con il proprio
corpo "forme belle" (secondo l'idea di "bellezza" propria dell'epoca).
Blasis si ispirò alla statua del Mercurio del
Giambologna per realizzare una delle pose principali della danza classica: l’
attitude,
intesa come espressione di un dinamismo che tende verso il cielo.
Questa posa peraltro è rappresentata molto di frequente anche nelle
statue greche e romane, dato che a sua volta il Giambologna si era
ispirato a queste. Danza, recitazione, canto, ormai sono definitivamente
separati. Siamo in pieno Neoclassicismo: un ritorno ai classici,
filtrato però dalle idee illuministe, perciò non più rigido e
artificiale come una volta, ma caratterizzato da esigenze nuove che
spingono alla ricerca dell’espressione dei sentimenti dell’individuo
aprendo la strada al Romanticismo.
L'Ottocento e il Romanticismo
Durante l’Ottocento, inizia a diffondersi il
Balletto Romantico,
basato su una nuova sensibilità, una nuova visione del mondo più libera
ed appassionata, che rompe le vecchie certezze legate al sistema
normativo tradizionale, dominato dal culto della ragione, per recuperare
una realtà inesplorata legata al versante oscuro dell’inconscio, dando
voce ai moti dell’animo, dei sentimenti, del sogno. È del
1832 la messa in scena all’
Opéra di Parigi di
La Sylphide,
il primo esempio di balletto romantico. Abbandonati i temi mitologici e
storici, l’azione ora si trasferisce nel mondo delle fiabe. È in questa
occasione che viene introdotta dal
coreografo Filippo Taglioni, padre della ballerina che lo interpretava,
Maria Taglioni,
l’uso della danza sulle punte e del tutù come consuetudine.
L’aspirazione al volo che traduceva la tensione romantica verso una
realtà trascendente, la sensibilità e la grazia che caratterizzavano il
nuovo stile, si sposano a una tecnica rigorosamente classica che trova
nelle punte, nell’
arabesque, nel
port de bras
i suoi principi fondamentali. Ogni movimento, ogni figura sono
perfettamente controllati, nascondendo la fatica fisica e il sudore
sotto un’immagine di eterea leggerezza che si libra nello spazio
esaltando la bellezza plastica degli atteggiamenti nel rigore di una
nitida purezza geometrica. Dopo al seconda metà dell’Ottocento, l’Opéra
di Parigi entra lentamente in crisi: costretta a reclutare le sue étoile
all’estero, priva di validi maestri di balletto e corografici, non
esercita più la sua supremazia, per cedere il passo alle altre scuole
che sulle sue orme cominciano a fiorire negli altri paesi europei, come
quella del
Teatro alla Scala
di Milano. Il vigoroso impulso all’arte della danza promosso in Russia
dagli zar nel Settecento, è sostenuto e incoraggiato nel corso
dell’Ottocento, facendo di San Pietroburgo un punto di passaggio
obbligato per tutti i coreografi e i solisti più rinomati d’Europa. Il
compito di condurre a una sintesi il patrimonio di esperienze
accumulatesi nell’arco di un secolo spetta a
Marius Petipa, un coreografo francese che, assunto nel
1847
come primo ballerino, acquistò ben presto un ruolo preminente nei
teatri imperiali russi. La stagione di Petipa coincide con
l’introduzione del balletto romantico in Russia, che avviene però
tardivamente, quando altrove è già in declino. I gusti del pubblico,
composto soprattutto dall’aristocrazia, esigono che il balletto si
concentri intorno alla figura femminile, mostrando di apprezzare opere
d’impostazione fastosamente spettacolare che lascino spazio
all’esibizione virtuosistica. Petipa riprende quindi i capolavori del
balletto romantico come
La Sylphide,
Giselle,
Coppelia,
Le Corsaire,
La Esmeralda.
L’attenzione verso i valori del passato si riscontra anche nelle sue
creazioni coreografiche. Erede del balletto d’azione, Petipa adatta la
trama drammatica ai contenuti romantici, ma ne disperde talvolta la
tensione inserendo accessori, non sempre perfettamente integranti nel
soggetto, che costituiscono momenti virtuosistici fini a se stessi. Egli
mira soprattutto a realizzare una grande visione spettacolare che
susciti l’ammirazione del pubblico, non curandosi se per ottenere questo
risultato è costretto a sacrificare il rigore della composizione
drammatica. Sono suoi i capolavori
Don Quichotte,
La Bayadère,
La bella addormentata,
Lo Schiaccianoci e
Il lago dei Cigni (coreografato in collaborazione con
Lev Ivanov), tuttora rappresentati nei migliori teatri del mondo ancora con le sue coreografie.
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